...'Una mamma, la sua bambina, un diario. Il diario del primo anno di vita, l’anno in cui avvengono cose decisive per chi è nato, per chi se ne prende cura e anche per la pratica della scrittura. Scrivere, infatti, è deporre segni su una pagina, che li ospita come in una casa, come in una culla. E' un diario di bordo che attesta memorie, che potrebbero rivelarsi preziose ora e in futuro. La meticolosità degli appunti (date, ore, luoghi e nomi, stesi tutti i giorni, senza interruzione), le ruminazioni apprensive (“non ti attacchi”, “non ho la montata lattea!”), il vanto legittimo (“per niente al mondo avrei rinunciato a questa gravidanza”), l’alone depressivo (“la casa suona a vuoto quando tu dormi”), i dilemmi paralizzanti (“sarà il pasto giusto? La culla è fredda?” e “mi sento impotente quando piangi”), lo sconforto (“sono disperata, anche stanotte ti sei svegliata…”), i sensi di colpa e le ondate euforiche sono i sintomi di quella malattia normale, che è stata chiamata preoccupazione primaria dal pediatra psicoanalista Winnicott. La madre sufficientemente buona sviluppa in periodo perinatale un ritiro psicologico, coinvolgente e rischioso, che la concentra nell’accudimento. La donna deve poter essere sana per raggiungere l’intimità di questo stato e per uscirne quando il bambino la lascia libera. Grazie alla sintonia materna versoi bisogni infantili, questi ultimi non schiacciano l’Io in crescita, ma ricevono riconoscimento e gratificazione e autorizzano una fiducia di base. Di quella fase regressiva restano pochi ricordi, poiché la mamma tende a rimuovere. Ma in questo caso, il diario ha implacabilmente conservato i suoi vissuti…. (dalla prefazione del Prof. Paolo Marino Cattorini- docente di bioetica presso Università Insubria- Varese)